I percorsi di terapia non sono infiniti! Molte volte nel primo incontro capita che le persone chiedano “quanto durerà?” e il terapeuta non può che rispondere “Non lo so”, perché davvero non è possibile sapere in anticipo.
La domanda che viene posta ha molto a che vedere con la speranza e la paura che abitano ogni nuovo inizio.
Ogni persona che intraprende una terapia porta con se’ una speranza: quella di stare meglio, di risolvere una questione, di uscire da un blocco, e ogni persona porta con sé anche una paura: quella che la terapia non funzioni, che il percorso sia troppo lungo, troppo costoso e che da qualche parte si nasconda una trappola.
A volte tra le righe c’è il dubbio che si crei una sorta di dipendenza, per cui il percorso non avrà mai fine.
Eppure quando il lavoro è un buon lavoro questa possibilità è l’unica che non accadrà.
Può succedere che, in un certo momento, l’ora della terapia e la figura del terapeuta assumano una grande importanza: il “paziente” aspetta la seduta successiva, il terapeuta diventa un riferimento, una figura centrale, una presenza vitale.
Ma questa è una fase, che deve condurre oltre: a quel momento in cui la persona sente di stare bene, comprende di riuscire a camminare da solo e così il legame si scioglie.
La conclusione ha una portata centrale ed è uno dei momenti più ricchi del lavoro che si fa insieme. Spesso l’emozione è forte, spesso la persona ha bisogno di dire “nel caso la posso richiamare?”, un piccolo ancoraggio mentre sta partendo per il suo nuovo viaggio.
E allora ci si lascia, ci si saluta e si comprende la portata che vive in tutte le conclusioni: si finisce per aprire ad altro e per portare con sé l’impronta di quello che è stato.