07.10.2021

vedere la vita da un’altra prospettiva

A volte crediamo di avere bisogno di soluzioni, mentre tutto ciò che ci serve è sviluppare uno sguardo nuovo sul problema che ci portiamo dentro

Ci sono cose della vita che possono essere cambiate ed altre che, invece, non possiamo modificare. Questa semplice e assoluta realtà fa parte dell’esperienza di ognuno di noi e si manifesta in massimo grado nella malattia cronica.

Come possiamo fare i conti con ciò che non è in nostro potere cambiare?

Le tre reazioni più frequenti

Le reazioni più diffuse ad un evento negativo e immodificabile che ci colpisca profondamente sono tre.

La prima consiste nel negare a noi stessi la realtà dei fatti, dicendoci che l’evento non è veramente accaduto, o che non ci riguarda, o magari che non è così grave o immutabile come ci dicono che sia. Appartengono a questa categoria il rifiuto di una diagnosi di malattia grave o cronica (affermando, ad esempio, che i medici si sarebbero sbagliati) e la convinzione di non essere malati e di non necessitare di cure. La negazione può riguardare noi stessi, se siamo i diretti interessati, o le persone care, se l’evento negativo ha interessato loro.

La seconda reazione più diffusa è la ribellione, spesso ostinata e rabbiosa, contro la realtà: se quest’ultima viene riconosciuta come vera, è però rifiutata la sua connotazione di ineluttabilità. Ci dedichiamo quindi con tutte le nostre forze a ribaltare le la situazione, tentando disperatamente di cambiare ciò che non può essere cambiato, scaricando il nostro dolore mediante la rabbia e, a volte, gestendone la portata dirompente attraverso l’ostilità nei confronti di chi ci vuole aiutare.

La terza reazione è quella depressiva, del ripiegamento su se stessi, della rassegnazione profondamente triste e sfiduciata, della perdita di senso. È quasi un’anticipazione di morte: ci ritiriamo dalla vita, perdiamo le speranze, la nostra porta esistenziale si chiude ancor prima di aver raccolto le forze per scendere in campo. Possiamo sentirci profondamente sofferenti o incomprensibilmente apatici, ma in entrambi i casi reagiamo così per difenderci dal colpo che la vita ci ha inferto.

Queste tre reazioni possono verificarsi insieme o separatamente, solo una o più di una; possono alternarsi più volte, possono interferire con le cure, possono rendere difficili le relazioni e ostacolare in modo importante la vita di chi le attua e delle persone a lui vicine.

Esse sono tutte accomunate dalla caratteristica di non riuscire a far stare meglio chi le mette in campo, o comunque di consentirgli, a volte, una certa possibilità di far fronte all’evento negativo, ma ad un prezzo esistenzialmente troppo elevato.

Che cosa non sta funzionando, allora?

Niente: si tratta di tre modi di reagire del tutto naturali. Il problema sorge quando uno o più di essi si protrae eccessivamente, cronicizzandosi e divorando la vita stessa – sia quella di chi soffre in prima persona, sia, spesso, quella di coloro che lo circondano.

Nessun essere umano è “programmato” per reagire spontaneamente in modo virtuoso a ciò che lo fa soffrire e che non può cambiare, nonostante da sempre ci si auguri che questo avvenga fin dal primo momento in cui l’evento si verifica e vi sia un’alta richiesta, nei confronti della persona interessata, a reagire “nel modo giusto”, dando non di rado una connotazione etica a questi termini.

Siamo semplicemente tutti umani: gli eventi avversi ci colpiscono e noi ne soffriamo, avendo bisogno di tempo – e spesso di aiuto – per metabolizzarli e proseguire con la nostra esistenza, adattandola alle nuove condizioni senza perderne il senso e la capacità di gioia.

Che cosa possiamo fare per stare meglio?

Su ciò che non è possibile modificare non si può agire in senso trasformativo. Possiamo però agire su noi stessi e, in particolare, sulla prospettiva secondo cui guardiamo l’evento negativo e ciò che ne consegue.

Il primo passo consiste nello sviluppare una sana (e, per quanto possibile, serena) consapevolezza della realtà dei fatti, senza bisogno di fuggirne negandola, ritirandoci in noi stessi o ribellandoci rabbiosamente alla sua ineluttabilità.

A partire da qui, possiamo procedere a vedere ciò che ci accade da punti di vista nuovi e con un nuovo sguardo. Ogni evento della vita, infatti, ha sempre diverse sfaccettature, ma se non ne abbiamo una consapevolezza serena tenderemo facilmente a vederlo sotto una sola luce (specialmente se si tratta di qualcosa di negativo). Spesso rifiutiamo inconsapevolmente di vedere un evento sotto diverse prospettive o crediamo di averlo già osservato e avvicinato secondo tutte le diagonali possibili, o ancora non siamo motivati a vederlo sotto una nuova luce perché siamo arrabbiati – ritenendo che ci abbia “rubato la vita” in modo inaccettabile – o sfiduciati – e quindi credendo che non vi siano prospettive alternative. A volte, infine, vorremmo davvero poter acquisire un punto di vista diverso, ma temiamo di non avere la forza per farlo.

Come sviluppare nuove prospettive e riappropriarci della vita

È a questo punto che serve chiedere aiuto, senza timore o vergogna alcuni, perché è umano che sia faticoso riuscire a metabolizzare gli eventi negativi e immodificabili, rimodulando la nostra vita per integrarli.

La filosofia dell’esistenza, e il Counseling Filosofico che su di essa si basa, hanno proprio questo scopo: entrare in relazione con chi soffre senza alcun giudizio, aprendo nuove prospettive sugli eventi umani – quelli concreti, che riguardano ogni persona in modo unico – così da supportare la vita e aiutarla a ruotare gentilmente su se stessa fino ad assumere il punto di vista più adatto per integrare nel flusso dell’esistenza ciò che non si può cambiare, ripristinando così la nostra capacità di andare avanti.

Articolo di:

Moretti Ada

Counselor Filosofico Professionista